Cenacolo di Aprile 2023
Getta le reti e lascia il comando
Carissimi,
Il tempo di Pasqua è tempo di gioia. Affidiamo i bambini che sono battezzati, quelli che fanno la prima comunione, e portiamo nella preghiera chi ha bisogno di essere raggiunto dall’annuncio della Pasqua. Questo ultimo incontro dell’anno ci fa tirare le somme del libro che, in parte, abbiamo letto insieme. Non ci sarà una figura biblica che ci guida, ma delle conclusioni che Costanza Miriano fa e trovo siano davvero importanti. Spero che il cammino vissuto abbia smosso il desiderio di avere veramente la Bibbia come mappa che ci orienta a trovare il vero tesoro della vita. Nel mese di maggio ci troveremo il giovedì sera per i rosari programmati. Buon incontro! don Alessandro
Iniziamo con il Segno di croce. Lasciamo almeno un minuto di silenzio per entrare nella preghiera.
INNO – Cielo nuovo è la tua Parola (Liberto-Di Simone) www.youtube.com/watch?v=gBNs3kebk84
Cielo nuovo è la tua Parola, nuova terra la tua carità!
Agnello immolato e vittorioso, Cristo Gesù, Signore che rinnovi l’universo!
Destati dal sonno che ti opprime, apri gli occhi sulla povertà,
Chiesa a cui lo Spirito ripete: “ti ho sposata nella fedeltà”. Rit.
Voltati e guarda la mia voce, nessun uomo dice verità!
Vedi che germoglia proprio adesso questa luce nell’oscurità. Rit.
Apri gli orizzonti del tuo cuore al vangelo della carità;
sciolti sono i vincoli di morte: Io farò di te la mia città. Rit.
Qui potete trovare uno stimolo che può riassumere dell’anno www.youtube.com/watch?v=tPg4JldPo7Q
Dal vangelo di Giovanni (Gv 21,4-8)
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Parola del Signore. Lode a te, o Cristo!
Conclusioni, con un pensiero rivolto a Sofia (Costanza Miriano)
Forse molti di noi leggono la Bibbia e sentono leggere le stesse cose da anni, decenni, anche solo andando a Messa la domenica. Il rischio è quello di assuefarsi a parole che suonano sbiadite. Ma a Dio si può sempre chiedere un orecchio vergine, anche nell’età in cui si fa oplà quando ci si siede sul divano. Un orecchio aperto è precisamente quello che Dio ci chiede. I comandi di Dio hanno una caratteristica strana rispetto a quelli di un capo normale: lui ti ordina sempre e soltanto quello che ti conviene fare, e questa è la prima caratteristica. La seconda è che tu puoi fare ciò che lui comanda solo se chiedi a lui la capacità di farlo: Dio è un gran signore, è cortese e non vuole mai disturbare, quindi ci dà la capacità di fare il suo volere solo se siamo noi a chiederglielo. Il risultato è che si obbedisce sempre per grazia, e mai con la forza di volontà, come succede con gli addominali – il che, per chi come me ha un colonnello dei “marines” sadico alla bocca dello stomaco che gli programma la vita, sembra un po’ strano. Eppure, sto scoprendo che certi passaggi li fai solo quando Dio te li permette; non perché sei stato bravo e te li meriti, perché solo adesso puoi capirli, dopo che la tua storia ti ha lavorato un po’.
Arrivi a un punto in cui ti sembra di essere alla fine di una notte in cui non hai pescato niente – magari sei invischiato in un meccanismo in cui problemi sono sempre gli stessi e le dinamiche paiono immodificabili, le relazioni incancrenite – ma se tendi l’orecchio, puoi sentire anche tu qualcuno che ti dice di gettare le reti dalla parte destra. Perché se butti da destra devi tirare su da sinistra, col braccio più debole. Il fatto è sempre quello: la fede non è una questione di addominali; quando lo chiedi, ma lo chiedi pregando con insistenza “da vedova”, come chi non ha nessuno al mondo, è Dio a fare il lavoro sporco per te.
La prima cosa che ho visto fare grazie alla Parola è trasformare il cuore: la dotazione base dell’essere umano prevede che sia un centro di smistamento dei giudizi, cattiverie e acidità. È sempre bene ribadirlo, tante volte ci venisse un conato di autostima eccessiva. Per quanto mi riguarda, pare che la mia prole sia stata investita dall’alto del compito di ricordarmi chi sono veramente, nel caso me ne dimenticassi – compito che svolge con ammirevole dedizione quotidiana. Ho anche come marito un demotivatore ufficiale, come padre spirituale un sacerdote parchissimo di complimenti, due genitori e due fratelli che mi vedono ancora squinternata come in terza media, e un ampio parco di detrattori sui social. Considero tutti loro un dono di Dio: indipendentemente dal fatto che mi è capitato di scrivere dei libri, e che addirittura possa essere un punto di riferimento spirituale per qualcuno – e per quanto, inoltre, ogni tanto possa provare a raccontarmela – io so molto chiaramente che dentro di me c’è quello di cui parla il Vangelo. Un groviglio di male tale che, se fosse visibile da fuori coi sottotitoli, sarebbe da sotterrarsi. Non riesco ad amare, a non giudicare, a perdonare. Vedo il male dell’altro e mi vengono dei nervi che non mi spiego. Continuo a ripensare alla cosa imperdonabile che ha fatto, magari nemmeno a me, eppure devo rompere. È un comando impellente. Oppure comincio a chiacchierare con un’amica, e a un certo punto balena la possibilità di sparlare, poniamo, di Giovanna – che le vogliamo bene, ma proprio per questo forse dovremmo diglielo … e da lì, giù a elencare i suoi difetti, che poi sono pure veri, e magari sono giuste anche le cose che diciamo (solo che non serve a niente dirle).
Il primo passo per sciogliere questa morsa di male è perdonare Dio. Ma cosa vuol dire perdonare Dio? Come fai a perdonare l’Onnipotente chi ti ha dato la vita? E qui veniamo a un altro punto: fare pace con la propria storia. Abbiamo tutti qualcosa da ridire con Dio sulla nostra storia, finché non riceviamo la grazia di capire. Ho visto persone che ci sono riuscite, che sono arrivate a dire: “Dio, hai fatto di me una meraviglia stupenda”. In realtà, facciamo tutti fatica a dire così. Per cominciare, gran parte della cultura contemporanea è un continuo invito a pensare che tu sei uno schifo e che la vita non ha senso. Sulla prima affermazione potrei anche essere d’accordo, in un certo senso: siamo tutti nel guano fino al collo, eppure c’è una mano pronta a tirarci su; non perché lo meritiamo, ma perché ci vuole bene. Il problema è che questa mano è proprio di Colui che la maggioranza della cultura di oggi si affanna a tentare di cancellare.
Poi c’è un elemento interno, che non proviene dal contesto culturale ed è molto più forte: non crediamo che la nostra storia sia perfetta per noi. Che quella famiglia, quel corpo, quelle possibilità di vita, quelle svolte che abbiamo avuto siano state pensate da Dio per incontrarci. E poi facciamo continuamente paragoni, anche con persone lontane. Quanta gente passa da un’infanzia serena a una giovinezza arrabbiata perché scopre di non essere la migliore del mondo, e di non avvicinarsi neppure a certi modelli. Ci si può riuscire, anche nei casi in cui ci sarebbe di che discutere con Dio.
Per esempio, potrebbe farlo Sofia. È nata con molti problemi fisici, e da quando ha pochi giorni entra ed esce dagli ospedali. La sua mamma è arrabbiata con chi le ha dato una figlia chiamata a soffrire, e quindi la critica in continuazione, e quasi le dispiace che sia venuta al mondo. Inconsapevolmente a tolto alla sua bambina le riserve affettive che, a lei più che ad altri, sarebbero servite per affrontare la vita. Eppure, tra un ricovero e l’altro, Sofia si è laureata in medicina; trova le forze per aiutare i suoi pazienti, fa spazio per tutti i bisognosi che incontra; non ha potuto avere figli, ma un ragazzo davvero stratosferico si è innamorato di lei e l’ha sposata, pur sapendo che ogni tanto avrebbe passato un po’ di tempo in ospedale. Perché Sofia ha una luce dentro, emana un calore, ha una tale capacità di fare spazio che chiunque la incontra vorrebbe stare almeno un po’ di tempo con lei. Il suo segreto è che ha deciso di perdonare Dio per la sua malattia. Nel senso che, quando capisci che lui è il progettista e tu il progetto, smetti di domandarti perché a me?, e cominci a chiedere aiuto per essere fedele a quel progetto.
Il secondo passo del perdono è perdonare gli altri, a partire dei genitori. Ora, dimmi come si fa ad amare una madre che si lascia sfuggire, anche se in fugace momento di rabbia, che avrebbe preferito tu non nascessi. Sofia ci è riuscita, quando ha capito che la sua mamma era solo una persona con le spalle non tanto larghe, ma l’amava tantissimo e non reggeva la sofferenza di vederla soffrire. Spesso la cattiveria è debolezza. La madre di Sofia era rimasta orfana da piccola: si era rimboccata le maniche, aveva tirato su i fratellini, fino all’arrivo di una zia buona, ma decisamente poco affettuosa. Aveva retto così tanto dolore e durezza che le sembrava di non avere più nessuna riserva. Non aveva incontrato davvero chi riempie ogni cuore, chi restituisce le scorte, chi ti rende capace di amare anche chi umanamente ha ricevuto poco o niente.
Infine, il terzo passo del perdono è perdonare se stessi – che, contrariamente a quanto si pensa, è la parte più difficile. Siamo noi il giudice più spietato di noi stessi – o meglio, è dentro di noi la voce dell’accusatore che ci ricorda per filo e per segno tutto quello che abbiamo fatto, che non è vero che qualcuno può volerci così tanto bene da perdonarci davvero tutto, e che comunque, alla fine, non è che siamo poi gran che. La rappresentazione plastica, per me, è quella di una figlia adolescente che svetta come un altissimo ramo fiorito, la pelle tesa come un tamburo, gli occhi accesi pieni di attese per la vita, bellissima dentro un paio di jeans che io al massimo potrei usare come guanto, che viene da me e mi dice: “Oddio, guarda! Hai visto?”. Tu vai nel panico perché non sei preparata all’interrogazione a sorpresa, e non hai visto niente, mentre lei si indica un minuscolo, impercettibile accenno di brufolo in fronte, nascosto dai capelli e da due strati di correttore. È un prodigio di bellezza, e l’unica cosa che riesce a vedere di sé è un brufolo. Usando Sofia come paradigma, direi che la sua storia raccoglie tutti i passi del vero, profondo e totale perdono che ti permette di non tenere il broncio e di mandare a quel paese i complessi; quello che ti libera e ti rende capace di vivere la vita in modo diverso: “in missione per conto di Dio”!
Riflessione (lasciare almeno 10 minuti di silenzio) e condivisione: Cosa mi ha colpito? Dove la Parola deve trasformare il mio cuore? Per cosa devo perdonare Dio, gli altri e me stesso? Qual è la mia missione?
Decina del rosario: Padre nostro (insieme), 10 Ave Maria con intenzioni e Gloria al Padre.
Preghiamo alternandoci con alcune parole del Salmo (Sal 139):
Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo, intendi da lontano i miei pensieri,
osservi il mio cammino e il mio riposo, ti sono note tutte le mie vie.
La mia parola non è ancora sulla lingua ed ecco, Signore, già la conosci tutta.
Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano.
Se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti. Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda;
meravigliose sono le tue opere, le riconosce pienamente l’anima mia.
Quanto profondi per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro numero, o Dio!
Segno di croce che conclude la preghiera.