Confessione

È possibile accostarsi a questo sacramento:

DOPO LE MESSE FERIALI

durante gli orari di ufficio quando il parroco riceve

in alcuni momenti dell’anno (Santi, Natale e Pasqua) è possibile una maggiore presenza in confessionale (verificare i programmi)

Angolo della Confessione nell’ufficio del parroco

Catechesi sulla Confessione

(don Alessandro)

UN SACRAMENTO PER LA CONVERSIONE DEL CUORE

Voltiamo nuovamente pagina per considerare gli ultimi due Sacramenti, chiamatI “di guarigione”: Riconciliazione e Unzione dei malati. Spesso ci accorgiamo di mettere le maschere e di non essere noi stessi, la parola “ipocrita” usata anche da Gesù significa proprio questo. L’ipocrita era l’attore, colui che fa vedere cosa non è. La Confessione è il Sacramento che ci fa guarire da questa brutta malattia dello spirito e ci chiede di convertirci alla verità di noi stessi e di Dio. Dall’inizio della Bibbia è chiara l’idea che l’uomo si allontana dal Creatore e, infatti, da lì iniziano i suoi guai. Il racconto del Peccato originale (Gn 3) ha questa chiave di lettura. Il popolo di Israele è in continuo stato di richiesta di perdono (Salmi, Geremia, Isaia). Tra i racconti più intriganti nell’Antico Testamento ci sono quelli dei peccati: Davide (2 Sam 12), I due vecchi con Susanna (Dn 13)… per citarne due. Gesù inizia la Sua missione parlando di conversione: “convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). Gesù insegna la Misericordia di Dio nelle splendide parabole che troviamo nel Vangelo di Luca al cap. 15. Gesù perdona i peccati e per questo scandalizza molti. Gesù invia gli apostoli a perdonare in nome di Dio. San Paolo ci parla del peccato, della grazia, di quella “spina nella carne” (2Cor 12, 7) e di un “tesoro in vasi di creta” (2Cor 4,7).

Quindi c’è un cammino di guarigione del cuore che ci aspetta, per entrare in termini che spesso non ci dicono più niente:

– CONVERSIONE per ritrovare il senso di marcia, che contrasta con le logiche del “fai come ti pare”, “io la penso così”!

– PECCATO per riconoscere che spesso sbagliamo il bersaglio e ci inciampiamo, per evitare di cadere nei sensi di colpa

– PERDONO e MISERICORDIA per ritrovare il significato del dono più grande che fa amare pienamente, in contrasto con il “non darla vinta a nessuno”.

Nella vita cristiana si è sviluppato nei primi secoli un cammino penitenziale pubblico (chiamato Quaresima) e uno privato (chiamato abitualmente Confessione) per ricordarci che sbagliamo e ci convertiamo sempre come singoli e come comunità.

QUALE NOME HA QUESTO SACRAMENTO?

Questo Sacramento nel corso della storia è stato chiamato in modi diversi. Nei primi secoli “Tavola di Salvezza o Secondo Battesimo” perché poteva essere ricevuto una sola volta. Poi “Penitenza” perché era prevista un’accusa pubblica per gli apostati, gli omicidi, e gli adulteri. Dal V secolo grazie a San Patrizio il termine è stato “Confessione”, perché è stata introdotta l’accusa auricolare privata e segreta. Dopo il Concilio Vaticano II si usa la parola “Riconciliazione” che sottolinea di più gli effetti del Sacramento, termine che useremo.

Possiamo trovare una fonte sicura nell’esortazione apostolica Reconciliatio et Poenitentia di San Giovanni Paolo II e nel Catechismo della Chiesa Cattolica ai numeri 1422-1470.

COS’È?

Per capire la Riconciliazione dobbiamo concentrarci sul capolavoro. Il capolavoro siamo noi creati e amati da Dio. Lui ci dice “tu sei importante!”, “Tu sei bello”, “mi piaci!”. Sappiamo però che i capolavori vanno manutenuti e restaurati. Nella Riconciliazione ritorniamo a considerare seriamente la nostra vita (chi sono, qual è la mia storia) e cosa voglio (tra la Parola vera e le parole che tentano: le cose, l’essere appagato, l’apparire, il successo, il dominio).

Nella Riconciliazione si riprende il filo quando si è perso, si torna a ciò che mi ha originato e mi ha reso originale, perché nessuno di noi è una fotocopia di qualcun altro. Dio ci vuole unici e irripetibili!

Riconoscere che io sbaglio davanti a un’altra persona porta a sperimentare una grande vicinanza e una profonda comprensione reciproca. Io ammetto l’errore e nello stesso tempo ne prendo le distanze; dichiaro la mia disponibilità a rinnovare la verità della mia vita che rischia di essere piatta e insignificante, del mio amore che rischia di essere egoista, della mia fede che rischia di essere vuota e di facciata. Durante il Sacramento riaccendiamo la luce dentro il cuore che tante volte sperimenta il buio e l’abbandono. Come se la candela ricevuta nel Battesimo avesse bisogno di essere riaccesa o semplicemente di riprendere vigore perché è tremolante.

Secondo il Catechismo: “Cristo ha istituito il Sacramento della Penitenza per tutti i membri peccatori della Sua Chiesa, in primo luogo per coloro che, dopo il Battesimo, sono caduti in peccato grave e hanno così perduto la grazia battesimale e inflitto una ferita alla comunione ecclesiale. A costoro il Sacramento della Penitenza offre una nuova possibilità di convertirsi e di recuperare la grazia della giustificazione” (n. 1446).

Il peccato è una cosa seria solo se abbiamo a cuore l’Amore di Dio, ne percepiamo la potenza che cambia e dà gioia alla nostra vita, oltre che darne il senso. Il peccato grave rompe l’alleanza con Dio e tra gli uomini. Le caratteristiche di questo peccato sono: 

– materia grave (contro Dio, la vita, le relazioni, oggetto dei Comandamenti);

– piena avvertenza (capisco che facendolo rovino la mia relazione con Dio);

– deliberato consenso (decido veramente e liberamente di farlo).

Il peccato veniale, invece indebolisce l’amicizia con Dio e tra gli uomini.

Sempre il Catechismo ci ricorda che in questo Sacramento vi sono due elementi essenziali, “da una parte, gli atti dell’uomo che si converte sotto l’azione dello Spirito Santo: cioè la contrizione, la confessione e la soddisfazione; dall’altra parte, l’azione di Dio attraverso l’intervento della Chiesa. La Chiesa che, mediante il Vescovo e i suoi presbiteri, concede nel nome di Gesù Cristo il perdono dei peccati e stabilisce la modalità della soddisfazione, prega anche per il peccatore e fa penitenza con lui. Così il peccatore viene guarito e ristabilito nella comunione ecclesiale” (n.1448).

Ci sono tre convinzioni ricordate da Giovanni Paolo II nella sua lettera Reconciliatio et Paenitentia che riporto:

La prima convinzione è che, per un cristiano, il Sacramento della penitenza è la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei suoi peccati gravi commessi dopo il Battesimo. Certo, il Salvatore e la Sua azione salvifica non sono così legati a un segno sacramentale, da non potere in qualsiasi tempo e settore della storia della salvezza operare al di fuori e al di sopra dei Sacramenti. Ma alla scuola della fede noi apprendiamo che il medesimo Salvatore ha voluto e disposto che gli umili e preziosi Sacramenti della fede siano ordinariamente i mezzi efficaci, per i quali passa e opera la Sua potenza redentrice. Sarebbe dunque insensato, oltreché presuntuoso, voler prescindere arbitrariamente dagli strumenti di grazia e di salvezza che il Signore ha disposto e, nel caso specifico, pretendere di ricevere il perdono facendo a meno del Sacramento, istituito da Cristo proprio per il perdono. Il rinnovamento dei riti, attuato dopo il Concilio, non autorizza alcuna illusione e alterazione in questa direzione. Esso doveva e deve servire, secondo l’intenzione della Chiesa, a suscitare in ciascuno di noi un nuovo slancio verso il rinnovamento del nostro atteggiamento interiore, cioè verso una comprensione più profonda della natura del Sacramento della Penitenza; verso un’accoglienza di esso più nutrita di fede, non ansiosa ma fiduciosa; verso una maggiore frequenza del Sacramento, che si riconosce tutto pervaso dall’amore misericordioso del Signore.

La seconda convinzione riguarda la funzione del Sacramento della penitenza per colui che vi ricorre. Esso è, secondo la più antica tradizionale concezione, una specie di azione giudiziaria; ma questa si svolge presso un tribunale di misericordia, più che di stretta e rigorosa giustizia, il quale non è paragonabile che per analogia ai tribunali umani, cioè in quanto il peccatore vi svela i suoi peccati e la sua condizione di creatura soggetta al peccato; si impegna a rinunciare e a combattere il peccato; accetta la pena (penitenza sacramentale) che il confessore gli impone e ne riceve l’assoluzione. Ma, riflettendo sulla funzione di questo Sacramento, la coscienza della Chiesa vi scorge, oltre il carattere di giudizio nel senso accennato, un carattere terapeutico o medicinale. E questo si ricollega al fatto che è frequente nel Vangelo la presentazione di Cristo come medico, mentre la Sua opera redentrice viene spesso chiamata, sin dall’antichità cristiana, «medicina salutis». «Io voglio curare, non accusare», diceva sant’Agostino riferendosi all’esercizio della pastorale penitenziale, ed è grazie alla medicina della confessione che l’esperienza del peccato non degenera in disperazione. Il «Rito della penitenza» allude a questo aspetto medicinale del sacramento, al quale l’uomo contemporaneo è forse più sensibile, vedendo nel peccato, sì, ciò che comporta di errore, ma ancor più ciò che dimostra in ordine alla debolezza e infermità umana. Tribunale di misericordia o luogo di guarigione spirituale, sotto entrambi gli aspetti, il Sacramento esige una conoscenza dell’intimo del peccatore, per poterlo giudicare e assolvere, per curarlo e guarirlo. E proprio per questo esso implica, da parte del penitente, l’accusa sincera e completa dei peccati, che ha pertanto una ragion d’essere non solo ispirata da fini ascetici (quale esercizio di umiltà e di mortificazione), ma inerente alla natura stessa del Sacramento.

La terza convinzione, che tengo ad accentuare, riguarda le realtà o parti, che compongono il segno sacramentale del perdono e della riconciliazione. Alcune di queste realtà sono atti del penitente, di diversa importanza, ciascuno però indispensabile o alla validità, o all’integrità, o alla fruttuosità del segno. Una condizione indispensabile è, innanzitutto, la rettitudine e la limpidezza della coscienza del penitente. Un uomo non si avvia a una vera e genuina penitenza, finché non scorge che il peccato contrasta con la norma etica, iscritta nell’intimo del proprio essere; finché non riconosce di aver fatto l’esperienza personale e responsabile di un tale contrasto; finché non dice non soltanto «il peccato c’è», ma «io ho peccato»; finché non ammette che il peccato ha introdotto nella sua coscienza una divisione, che pervade poi tutto il suo essere e lo separa da Dio e dai fratelli. Il segno sacramentale di questa limpidezza della coscienza è l’atto tradizionalmente chiamato esame di coscienza, atto che deve esser sempre non già un’ansiosa introspezione psicologica, ma il confronto sincero e sereno con la legge morale interiore, con le norme evangeliche proposte dalla Chiesa, con lo stesso Cristo Gesù, che è per noi maestro e modello di vita, e col Padre celeste, che ci chiama al bene e alla perfezione.

QUALI OBIEZIONI?

Tanti non praticano più questo Sacramento per la pretesa di combinare tutto direttamente con Dio, che però è un rimedio comodo per tranquillizzare la coscienza. Facciamo attenzione a non trovare facili giustificazioni! Proviamo a vedere alcuni ostacoli con una possibile soluzione.

PRIMO OSTACOLO: “Ma io non faccio nulla di male!”

Questa è un’affermazione superficiale che significa che uno non ha voglia di guardarsi dentro. Chi cammina verso il Signore si sente bisognoso del Suo aiuto. Si sente peccatore perché spesso non fa quello che dovrebbe fare o fa quello che non dovrebbe fare… pensaci un po’ su aiutato da un serio esame di coscienza.

SECONDO OSTACOLO: “Dio mi perdona già quando chiedo scusa da solo”.

Certamente è Dio che perdona. Ma Gesù ha mandato i Suoi apostoli chiedendo loro di perdonare i peccati in nome Suo prima di salire al cielo (“a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” Gv 20,23). Il perdono passa attraverso gesti concreti (non stringi forse la mano per fare pace?). Il sacerdote è questo segno visibile che agisce nella persona di Cristo e rappresenta la comunità cristiana.

TERZO OSTACOLO: “Mi vergogno a dire certe cose al prete”.

Dio perdona tutti i peccati che confessiamo e che ci ricordiamo. Tenerti qualcosa dentro vuol dire fare una confessione incompleta (cioè fare un peccato in più). Non vergognarti! Il prete non potrà mai dire i tuoi peccati ad altri (c’è un segreto che mai può essere violato). Il sacerdote non ti giudica e non ti condanna ma ti guarda come farebbe Gesù, con amore. Se non sei deciso alla sincerità è meglio che non ti confessi… sarebbe un danno per te!

QUARTO OSTACOLO: “Non so cosa dire!”

Il mondo non è fatto da peccatori e non peccatori (chi non sbaglia mai!!!), ma da chi si lascia perdonare e chi no. Dobbiamo sentirci bisognosi di “per dono” (è un dono per noi!). Non  saper cosa dire nasce spesso dal fatto che non si sono fissati sentieri da percorrere. Per tutti è importante guardarsi dentro, interrogarsi su cosa vuol dire essere uomini e cristiani…

QUINTO OSTACOLO: “Tanto non cambia nulla, ormai lo so!”

Questo dipende da te e dal modo in cui tu ti prepari e la vivi. Non stupirti di ricadere negli stessi peccati… mica Dio ti chiede di fare peccati nuovi? Il Sacramento è un aiuto per prendere sempre di più coscienza delle nostre fragilità sapendo che mai dobbiamo arrenderci. Combatti le battaglie della vita, non arrenderti. Chissà che dopo tante battaglie perse tu possa vincere!!!

COME SI SVOLGE?

Questa frase di San Josèmaria Escriva ci può aiutare: “la Confessione deve essere concisa, concreta, chiara e completa”. Proviamo a capire il significato di ciascun aggettivo:

“Confessione concisa”, significa che non ci devono essere troppe parole. Bisogna dire solo le parole che servono quelle che sono necessarie per dire con umiltà ciò che si è fatto o si è omesso. L’abbondanza di parole denota, talvolta, il desiderio più o meno cosciente di sfuggire la sincerità diretta e piena; per evitare ciò, bisogna fare bene l’esame di coscienza.

“Confessione concreta”, significa che non ci devono essere divagazioni o un parlare generico. Il penitente deve precisare al confessore la sua condizione (sposato, fidanzato…), il tempo trascorso dall’ultima confessione, le eventuali difficoltà della sua vita cristiana. Il penitente deve dichiarare i propri peccati e le circostanze che aggravano le colpe perché il confessore possa giudicare, assolvere e curare.

“Confessione chiara”, significa mettere in grado il confessore di capire. Il penitente deve dichiarare la gravità precisa della colpa e mettere in evidenza la propria miseria con la modestia e la delicatezza dovute.

“Confessione completa”, significa che la confessione deve essere integra. Il penitente non deve tralasciare nulla per falsa vergogna o per timore di fare una brutta figura davanti al confessore.

PRIMA DELLA CELEBRAZIONE DEL SACRAMENTO

Si esercita l’attitudine a guardarsi dentro, a far silenzio di introspezione. Prima dell’incontro con il sacerdote ci deve essere il desiderio a guardare con gli occhi di Dio la nostra vita. La parola di Dio ci mette in discussione? 

Questo atteggiamento che ci chiede di svuotarci per essere riempiti si chiama Contrizione (etimologicamente vuol dire “consumato sfregando”, “triturato”). È riconoscere la realtà ed essere pentito davvero (il dolore dei peccati). Per fare ciò è necessario fare un buon esame di coscienza. Farsi delle domande. Oggi tutti hanno delle certezze, ma ci vogliono più punti interrogativi che esclamativi. Dove inizia il mio esame di coscienza?

Da Dio. Ci credo davvero? Gli do il tempo e lo spazio che merita? Che Dio è quello in cui credo (un tappabuchi, un gendarme, un amicone) oppure un Dio giusto e misericordioso? La Sua Parola cambia i miei pensieri? Prego da solo e insieme agli altri? 

Per passare agli altri. Come tratto gli altri? Gelosia? Maldicenze? Quali parole uso? Vivo la fedeltà nei confronti degli amici, familiari, tra coniugi? Come affronto i miei doveri scolastici, lavorativi, gli impegni che mi sono preso nell’ambito del servizio gratuito (a proposito… faccio qualcosa per gli altri senza chiedere nulla in cambio?). So perdonare? Sfrutto gli altri?

Per arrivare a me stesso: felicità e tristezza, superficialità, egoismi, utilizzo del tempo, desideri, paure, futuro. Mi voglio bene? Ho un pensiero troppo alto su me stesso (solo io capisco tutto)? Su cosa sto investendo questo periodo della mia vita? La mia sensibilità? So stare in silenzio? So ascoltare? So consigliare? Ragiono sulle mie scelte? Parlo per luoghi comuni con cliché imposti? Penso alle conseguenze dei miei gesti? Vivo solo d’istinto e d’emozioni o sono troppo cerebrale? L’uso del corpo che rischia di diventare merce, il mio pensiero sulla vita umana, la sua dignità. Arrivare a considerare l’utilizzo delle tecnologie, le dipendenze dalle cose, di cosa mi vergogno? Cosa non rifarei/direi potessi tornare indietro? Sono disposto a mettermi sulla strada lunga del cambiamento? Questo è l’ordine che hanno i Comandamenti, per i quali rinvio alla catechesi dello scorso anno. Ogni stagione della vita ha il suo esame di coscienza, il suo modo di amare e tradire.

Ti invito a prepararti con questa preghiera: Signore mio e Dio mio: credo fermamente che sei qui, che mi vedi, che mi ascolti. Ti adoro con profonda fede. Ti voglio chiedere perdono dei miei peccati attraverso questa Confessione che mi accingo a vivere. Ti chiedo la grazia di fare con frutto questo esame di coscienza per non vivere questo Sacramento in modo superficiale o esclusivamente per precetto. Maria consolata, madre mia amata, Angelo mio custode e … (santo a cui sono particolarmente devoto), intercedete per me.

DURANTE L’INCONTRO CON UN SACERDOTE

Presa la decisione di incontrare la Misericordia di Dio cerchiamo un Sacerdote davanti al quale manifesto le mie colpe chiamandole per nome. È importante guardare la disponibilità (non è bene chiedere una Confessione di fretta due minuti prima della Messa) e il luogo (ci si può confessare dovunque, ma il confessionale offre discrezione ed evita di scambiare il Sacramento con una chiacchierata). Dirò al Signore, che agisce nella persona del Sacerdote, le cose concrete della mia vita senza generalizzare troppo o entrare eccessivamente nei dettagli. Dire una cosa vuol dire decidersi. Inizia con le parole evangeliche: “Perdonami Padre perché ho peccato”.

Di seguito dico quanto tempo è trascorso dall’ultima Confessione, è utile denunciare anche la propria condizione di vita (sposato, vedova, figli, pensionato, studente…) se non si è conosciuti personalmente dal sacerdote. Qui inizia la Confessione che ha tre momenti:

Confessione di lode. Cosa mi ha dato gioia? per cosa ringrazio?

Confessione di vita. Cosa mi è dispiaciuto, cosa è stato contro la “volontà di Dio” (pensieri, parole, opere e omissioni). 

Confessione di fede. Riconoscere che Dio è più grande dei nostri fallimenti. Fai un atto di fede: “il Signore è buono, eterna è la Sua misericordia!”.

Dopo aver ascoltato le indicazioni del Sacerdote, con l’Atto di dolore (o altra preghiera) si manifesta il dolore per i peccati e il dispiacere di non aver vissuto la pienezza di vita che il Signore ci chiede.

A questo punto si riceve l’Assoluzione che è la parola di salvezza di Gesù nella mia vita trasmessa concretamente dalla Chiesa per mezzo dei suoi ministri. È Cristo nel sacerdote che cancella i peccati: “Dio Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del Suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.

Attenzione! Bisogna distinguere tra peccati e situazioni di vita che contraddicono la fede; mentre un peccato è un’atto del passato e quindi si è concluso, ci sono situazioni particolari che sono in corso: se uno non è pentito di un’azione e la rifarebbe, legame con la malavita, lavori illegali e immorali che rovinano la dignità, la salute e attentano alla vita, abbandono della fede cristiana/cattolica per aderire ad altre forme o filosofie, situazioni dolorose e irregolari nella vita matrimoniale come convivenze o seconde nozze (di questi casi bisogna sempre chiarire, discernere e anche verificare la propria situazione in altra sede, non durante la confessione). In questi casi non è possibile ricevere l’assoluzione. Questo non significa essere fuori dalla Chiesa, ma che la Chiesa chiede un tempo più lungo per prendere in mano la propria situazione di vita e prendere delle decisioni serie in merito.

DOPO L’INCONTRO

Usciti dal confessionale abbiamo il momento più bello: la soddisfazione. Non è il prezzo da pagare (nessuna cosa umana è sufficiente per avere la Grazia di Dio), ma il segno di un impegno personale per iniziare un’esistenza nuova, è l’assumere un impegno concreto facendo la penitenza proposta dal sacerdote  e ringraziando il Signore per la Grazia donata nel Sacramento. Normalmente può essere un momento di preghiera, ma perché non prendersi un impegno per rinunciare, per aiutare, per fare, sostenere anche con le idee?

ULTIME ATTENZIONI 

Quando confessarsi? La Chiesa prescrive almeno una volta l’anno, ma basta? Ogni stagione ha un cambio di guardaroba che serve anche per rinfrescare. Ci rendiamo conto che in qualche momento ci serve in maniera più frequente. Certamente prima di fare la Comunione è bene guardarsi dentro e chiedersi se si è davvero in comunione con Dio.

Ci sono peccati che un sacerdote non può assolvere? Quelli a cui è connessa la scomunica (peccati che può perdonare un Vescovo o un suo delegato/penitenziere): profanazione dell’Eucaristia, attentato al Papa e all’unità della Chiesa. Per quanto riguarda l’aborto consapevole e la collaborazione a esso il Papa da tre anni ha dato la facoltà permanente di assolvere e rimuovere la scomunica a ogni sacerdote.

Ha detto Papa Francesco: “La Confessione è il passaggio dalla miseria alla misericordia, è la scrittura di Dio sul cuore. Lì leggiamo ogni volta che siamo preziosi agli occhi di Dio, che Egli è Padre e ci ama più di quanto noi amiamo noi stessi” (29 marzo 2019).