OMELIA FESTA PATRONALE 2017

OMELIA DELLA FESTA PATRONALE DELLA MADDALENA

16 luglio 2017

 

Ci troviamo di nuovo qui, oggi come i nostri padri e i nostri avi, per la 271° volta ad affidare il nostro paese, a Santa Maria Maddalena.

Saluto padre John e dal primo cittadino con l’amministrazione, le associazioni e i gruppi presenti e assenti, fino all’ultimo nato della nostra comunità.

Quest’anno ho introdotto questa festa con la consueta lettera su Volo Vera augurandoci di avere lo stile della Maddalena. Uno stile che guardando all’immagine dipinta su una facciata qui vicino, ci invita ad avere il coraggio di inginocchiarci e piangere, ci chiede per che cosa vale la pena fermarsi, cosa da senso alla nostra esistenza. Quelle tre immagini che ho proposto di persone inginocchiate (Maddalena, contadini e bancomat) ne sono una rappresentazione, che può far sorridere, ma che mantiene una profonda realtà. Mi sono chiesto su cosa dobbiamo fermarci a riflettere oggi come comunità che guarda ad una santa come punto di riferimento. Ho pensato a tre dimensioni, su cui possiamo o dovremo anche versare qualche lacrima e qualche goccia di sudore in più: la fede come identità di un paese, la disponibilità a lavorare insieme, la preoccupazione di educare.

1. Siamo in festa attorno a una Santa. Ad una donna, la prima che ha incontrato il Risorto, peccatrice perdonata e amata. Donna che ha saputo amare, nonostante le sue contraddizioni. La fede è la prima dimensione da considerare oggi. Per chi è malato di laicismo tutto questo sembra assurdo. Ma com’è che uno stato laico deve onorare una santa cristiana? Perché un sindaco deve rinnovare un voto? La fede non è una cosa privata? Perché inchinarci ad un simbolo di “parte”? E gli altri cittadini sono di serie B? E anche tra i cristiani c’è quasi chi si vergogna a dirsi tale… e chiede scusa di esserlo… anche nella vita politica e associativa. Per cui si è giustamente attenti ad altre culture e religioni, con piccoli e grandi attenzioni, ma non si calcola minimamente come importante la nostra tradizione. Laicità non vuol dire essere asettici, ma vuol dire essere liberi di riconoscere una realtà, dando un nome alle radici del nostro vivere civile, riconoscendo qual è la bussola che orienta il nostro costruire, faticare, gioire e soffrire. Considerare la fede come identità nostra per chi è credente vuol dire farci qualche domanda fastidiosa: Ci interessa Dio? L’ho incontriamo? Oppure è solo un addobbo per le nostre feste? Chi ci incontra se ne accorge? Sappiamo che è Lui il segreto della felicità e dell’amore, della fatica e del sacrificio che facciamo? Alle volte trattiamo Dio come l’ultima ruota del carro. Non abbiamo tempo per lui, però abbiamo tempo per tutti i nostri pallini… Se la preghiera, la Messa domenicale non tornano davvero ad essere fulcro su cui la nostra vita gira e si appoggia saremo solo cristiani da tradizioncine e mezze abitudini, ma la bussola delle scelte fondamentali la terremo noi, senza coinvolgere il Signore, anzi – ancora peggio – la lasceremo ai diktat di chiunque ci prende per il naso imponendoci una visione distorta della realtà… Confermare oggi una scelta dei nostri avi vuol dire camminare in una direzione tracciata, entrare nel flusso della storia, sapere che uno è libero solo quando sceglie, che si appartiene ad un popolo quando ci si riconosce e ci si identifica con una proposta che è prima, più grande e oltre noi. Sapere che le radici fanno crescere l’albero e fanno portare frutti. Quando si recidono invece si crea sterilità, incertezza, personalismi che diventano ostacoli. 

2. Da questo nasce una DISPONIBILITA’. Ecco la seconda dimensione. Quella di lavorare insieme per costruire un paese accogliente e bello per tutti. Il disimpegno, la lamentela, il disinteresse, le divisioni non aiutano a costruire, piuttosto distruggono. Oggi dovremmo chiederci se vogliamo lavorare e faticare per rendere accogliente e bello il nostro paese. Non si ha il diritto della critica se non ci si sporca le mani… costruire vuol dire guardare non solo il proprio orticello, ma chiedersi come creare sinergie e collaborazioni che offrano luoghi e tempi sani, in cui ognuno mette il poco o tanto che sa, accanto al poco e tanto dell’altro. Che non si creino distanze date da antipatie personali. Che si lavori per semplificare e non per complicare la vita… alle volte si perdono occasioni grandi! Eppure basterebbe poco, un po’ di fiducia, buon senso, riconoscimento reciproco. Volvera non deve fare cose complicate, lasciamo i grandi eventi ad altri più grandi e con più capacità e possibilità. Noi creiamo legami umani, facciamo anche iniziative belle, ma per il gusto di farle non per il dovere di farle. Non dobbiamo né sopravvalutarci perché nascerebbero frustrazioni, né sminuirci perché non renderemo ragione della realtà. La Maddalena anche qui credo che ci offra un stile. Non era perfetta, sapeva i suoi limiti, ma sapeva che una vita offerta è stata l’arma più efficace ad una vera gioia  che può essere contagiosa anche per chi sta a guardare aspettando compiaciuto che altri sbaglino.

3. Il terzo motivo di riflessione mi è data su una questione che è un’ulteriore conseguenza. La situazione educativa. Quindi il nostro sguardo al mondo giovanile. In modo particolare degli adolescenti che appaiono – in questo momento storico – fuori controllo. Ovviamente senza generalizzare. Dobbiamo renderci conto che ci troviamo davanti una generazione di iper stimolati, cresciuti col mito del benessere (che purtroppo non è sempre raggiungibile). Credono di essere in grado di fare tutto e sempre. Nessuno ha spiegato loro che per trasformare il potenziale in qualcosa di vero occorrono disciplina,  rispetto, attenzione, perseveranza…e Verità. Le generazioni precedenti, più o meno, sono state cresciute con una regola molto semplice: ad ogni causa un effetto, per ogni scelta una responsabilità. Oggi si vive nell’equivoco “se lo penso, posso farlo”. Il non percepire la realtà in cui si è calati…significa di fatto non vedere altro che sé stessi. Non si pone più la giusta attenzione né in quello che si sta facendo (e nel come), né in chi ci sta attorno. In realtà il problema non sono loro che alle volte si comportano male, bighellonano di giorno e di notte, sono volgari e sconclusionati (e chi non lo è stato)… e per questo mi fanno da una parte montare la rabbia per la poca grinta che mettono, ma dall’altra una profonda tenerezza di vedere della barche che affrontano la tempesta senza ancore e riferimenti. Il problema è chiederci: quando NOI abbiamo smesso di insegnare che la realtà è costituita dagli altri e per gli altri? Quando abbiamo fatto l’errore di pensare che l’educazione fosse solo dare delle informazioni e non un motivo per vivere? Quando ci siamo disinteressati di loro per avere meno problemi e in realtà abbiamo cominciato ad avere paura di loro? Quando ci siamo dimenticati di dire che si donare solo se si possiede? Che bisogna essere e non sembrare? Forse, quando abbiamo smesso di riconoscerci tutti come figli di Dio… il problema è, che generazioni così, sono in balìa di chi grida più forte, perché in realtà non sanno da che parte sono girati… da quando sono piccoli gli è stato detto che tutto gli è concesso, permesso, possibile e anzi, dovuto. Che il centro sono loro! Immaginate solo che frustrazione covano quando si confrontano veramente con la realtà. Non stanchiamoci, dunque, a indicare l’orizzonte: che obbedire e seguire le regole (anche quelle semplici del buon senso) non è da “sfigati”. Che non tutto è possibile. E che il possibile va perseguito responsabilmente, con logica e amore. Ammettere che non siamo noi il centro, ma inginocchiarsi davanti a Colui che lo è veramente…è il vero atto di coraggio… il coraggio dell’obbedienza e, conseguentemente, del saper scegliere… sono i limiti che ci definiscono, le infinite possibilità confondono e immobilizzano! Se ricominceremo a dire loro e a noi che Dio è il centro, ricordemmo tutti che siamo pellegrini e non girovaghi, sappiamo da dove veniamo e dove andiamo, e per questo abbiamo coscienza per chi e per che cosa faticare e gioire, perché sappiamo dove è attaccato il cuore! Il girovago, al contrario, deve passare il tempo e niente più, non ha più la possibilità di avere passioni, perché non sa a quale gancio attaccare il cuore! In questa ottica, quanto è stata magnifica Maddalena? Per amore ha seguito, camminato, ha pianto, per amore è andata al sepolcro, per amore ha obbedito al divieto di toccare il suo Maestro, per amore ha donato una vita di servizio. L’amore l’ha resa coraggiosa e obbediente, ma a me piace pensarla anche molto concreta. 

Per questo motivo ho voluto mettere al fondo della Chiesa l’immagine della nostra patrona. Non per cacciarla (tentazione sempre presente nelle patronali), ma perché stia sulla soglia. Perché guardi le nostre strade e le nostre vite concrete, perché sia un ponte verso la verità che è Cristo. E questa verità è sempre davanti a noi, che alle volte non siamo perfetti e un po’ distratti perché “di corsa” … ma questo non è motivo sufficiente per non riconoscerla come tale. Allora da oggi, è possibile piangere, ricaricarsi, tornare a camminare, faticare e gioire riscoprendone  i veri motivi. Auguri a tutti!