Ecco la prima chiesa delle frazioni. L’edificio è stato costruito, così come ricorda una lapide sulla facciata, nel 1849 da Gioanni Lorenzale in un piccolo spazio adiacente la strada Antica di Pinerolo, quasi al confine con Rivalta, per iniziativa della «famiglia Crivello, che ne rimase proprietaria sino al 1879, [e] passò poi all’illustre ed egregia famiglia Cavassa». In una relazione del 1894 sullo stato della parrocchia, scritta dal parroco don Michele Tosa in occasione di una visita pastorale, sono riportate alcune brevi notizie su questa «cappella lontana un due miglia dal paese dedicata alla Madonna della Consolata, di proprietà privata ma ad uso pubblico delle cascine dette della Gerbola», con l’annotazione che «tra i proprietari ed abitanti vicini si tien pulita e decente» ed in cui si reca a «dir messa per viaticare i malati in quei dintorni, far loro Pasqua ed a chiusura del mese mariano con un sermoncino». Sono invece di diverso tenore le annotazioni del parroco don Sebastiano Capello che nel 1904, dopo aver confermato quanto già riferito dal suo predecessore, scriveva: «Da due anni a questa parte, si cominciò a far la festa della Consolata, festa però che non ridonda a gloria di Dio e di Maria Vergine Santissima, ma a loro offesa gravissima. La messa non è che un pretesto, e la fanno servire a pravi lor fini gli organizzatori della festa. In essa avvi il ballo pubblico, quest’anno cominciarono a portarsi albergatori ambulanti e col tempo non tarderà a [… degenerare]. Il sottoscritto, ben conoscendo che tal festa non avrebbe attecchito se non la si copriva col manto della religione, rifiutossi di mandarvi una Messa. Ma con suo rincrescimento deve denunziare il fatto doloroso di altre parrocchie che senza il preavviso al sottoscritto si portano a celebrare tanto il giorno della festa quanto il dì successivo per consumare il Sacramento, che, certo senza facoltà, conservarono per quella giornata, impartendo ben anco la benedizione».
A seguito del trasferimento della famiglia Cavassa, nel 1918 la cappella fu acquistata dall’Avvocato Stefano Bertolini che la affidò alla figlia e, insieme, si impegnarono tenacemente a regolarizzare la posizione canonica e giuridica della chiesetta e a promuoverne un suo devoto utilizzo da parte dei “gerbolini” i quali, come si legge in un lungo memoriale scritto da tòta Camillina Bertolini, «circondarono sin da principio la cappella di un amore sentito che mai venne a meno» e, anzi, «si intensificò portando tanto incremento di vita religiosa attorno ad essa da ottenere poi che la cappella diventasse la pubblica chiesina della frazione [e] minuscolo santuario della intera regione circostante», ingrandendosi «gradatamente di una piccola sacrestia, di un grazioso campanile e di un giardinetto» su cui, successivamente, fu poi costruita una piccola tettoia. Il riconoscimento canonico della Cappella della Consolata, come «chiesina pubblica della Frazione con tutte le facoltà inerenti», fu firmato dall’Arcivescovo di Torino Maurilio Fossati nel gennaio 1938 e, qualche mese dopo, la medesima fu eretta civilmente in Ente morale e dotata di personalità giuridica con uno specifico provvedimento inserito nelle leggi e decreti dell’allora Regno d’Italia. «Da allora in poi – scrive Camilla Bertolini – la chiesina […] ebbe la sua regolare amministrazione con a capo il Reverendo Parroco [di Volvera … e] membri, duranti in carica due anni, […] scelti fra gli abitanti della frazione che sempre manifestarono considerazioni ed amore nel compito», sia per «la parte maschile quanto la parte femminile».
Lo scritto, «fra le persone il cui nome merita essere particolarmente ricordato», elenca: Tonda Rosa che «sia come Rettrice, due anni, sia come nei parecchi anni in cui fu Segretaria, dimostrò sempre verso la casa della Madonna un affetto ed una dedizione particolare»; Giorgis Matilde, una «umile lavoratrice dei campi [che, nella primavera 1940,] volle fare donazione dell’unico suo piccolo patrimonio familiare: un campicello situato nei pressi» della chiesetta; don Stefano Allamanno, don Pietro Fiora e il canonico Giovanni Battista Antonietti che, dalla vicina parrocchia di Orbassano e d’intesa con quella di Volvera, hanno provveduto per tanti anni alle celebrazioni feriali e festive; il parroco don Amilcare Merlo che dopo la scomparsa del canonico Antonietti, cappellano della frazione Gerbole di Volvera dal 1941, si assunse in prima persona «il funzionamento della cappellina nei giorni festivi» senza tralasciare di organizzare, oltre ad altre particolari attività di preghiera e devozione, «con l’aiuto di brave signorine e bravi giovani» gli incontri di catechismo «per la preparazione alla prima Comunione e Cresima» e le attività di un piccolo oratorio festivo. Il memoriale ricorda anche alcune particolari celebrazioni in occasione delle visite pastorali nel mese di maggio 1934 e settembre 1937; dell’erezione della Via Crucis nel 1938; del 13 luglio 1949 per accogliere la Madonna Pellegrina; dell’estate 1959 con la visita di Monsignor Beltramino, vescovo e missionario della Consolata in Africa, contribuendo a sviluppare l’utilizzo e «la vita della piccola chiesa, che si intensificò sempre più», fino a renderla insufficiente per gli abitanti delle frazioni, che nel frattempo si erano notevolmente popolate per i nuovi insediamenti, determinando la decisione di costruire nel 1979 la nuova chiesa.
Nel suo scritto, tòta Bertolini si chiede perché sorse questo minuscolo santuario della Consolata riferendo che «il ricordo dei vecchi della frazione non precisa il motivo, ma fu nel complesso un omaggio di gratitudine verso Maria […] sotto il titolo per cui si sente maggiore devozione. Il buon popolo piemontese, legato da particolare affetto e riconoscenza alla Consolata, ha voluto in ogni tempo far sorgere nelle campagne, piccole cappelle in suo onore, quasi umili e semplici raffigurazioni del caro grande Santuario di Torino».
A sostegno di questa annotazione sulla devozione e il legame dei volveresi con la Consolata di Torino si possono elencare altre prove, a partire dal buon numero di sacerdoti e suore del nostro paese che hanno scelto di svolgere come “missionari della Consolata” il loro ministero. L’immagine della Consolata è raffigurata su alcuni piloni campestri, anche se non in tutti in modo conforme all’iconografia ufficiale, ed è esposta come icona di devozione in tante nostre abitazioni. I quadri ex voto e i cuori votivi, anche se ora dopo le spogliazioni vandaliche sono rimasti pochi, sistemati sui muri della cappella e che «incorniciano la nicchia donde sorride la statua» della Consolata che un tempo, come racconta il memoriale, era anche «adorna di piccoli oggetti preziosi di cui le spose e le madri le fanno reverente omaggio». Nel “Libro dei conti della Confraternita” si legge di una spesa pagata nel lontano 1746, dopo la scampata epidemia di bestiame che aveva colpito il paese (quella che determinò la scelta di santa Maria Maddalena come Patrona di Volvera), «pel voto fatto alla Santissima Consolata di Torino» e portato processionalmente, così come suggerito dal parroco don Antonio Genesio, per essere depositato tra i tantissimi ex voto del Santuario di cui uno, particolarmente curioso e in grado di attirare subito l’attenzione dei visitatori, ha un particolare legame con Volvera.
Si tratta della barca che, appesa al soffitto della galleria degli ex voto, sembra volare con tanto di scafo panciuto, cannoni, carena, poppa quadra e tre alberi con le vele ammainate; un ex voto molto grande, forse così grande per ben rappresentare l’infinita riconoscenza di chi l’ha offerto. Le cronache raccontano che «nell’anno 1715 Giuseppe [Sclopis] della Volvera, di professione chirurgo, ed Anna Maria torinese di lui consorte, navigando da Genova a Napoli, per tre volte in questo viaggio col patrocinio di Maria Consolatrice si salvarono dal naufragio in mare», affrontando grandi tempeste. Da Napoli decisero di recarsi a Roma per visitare le Sacre Basiliche, e di nuovo in questo viaggio grazie alla protezione della Consolata si salvarono non solo da un’altra tempesta, ma anche dal rischio di essere catturati dai pirati Turchi. «Dovendo poi per li loro interessi ripigliare il viaggio da Roma a Napoli, nel 1716 caddero miserevolmente al 20 d’Agosto negli agguati de’ pirati Algerini, essendo allora Anna Maria incinta di sei mesi, e condotti schiavi in Algeri» dove furono venduti «a due de’ più potenti di quella barbara Repubblica». Addolorati per la separazione, la perdita del figlio e la condizione di schiavitù, si votarono nuovamente alla Consolata loro protettrice e, in modo inaspettato, ritrovarono ben presto la libertà grazie al riscatto pagato dalla Congregazione dei Padri Trinitari della Redenzione di ben 3.200 lire piemontesi. Trasportati a Marsiglia, «intrapresero il cammino per Torino, ove giunsero alli 9 di Luglio dell’anno 1717 a rendere le dovute grazie alla Consolata» e, a prova «autentica dell’inaspettata miracolosa protezione della Vergine appesero nella Cappella un ben architettato modello d’una nave consimile a quella da cui erano stati miserabilmente depredati».